Territorio di Caccia
Mappe ad alta risoluzione in formato pdf
RAVIN AGNELLINO BADO’ MERIZZO MARENCO
MELOGNO TORTAGNA BASU DU BECCU
CARTOGRAFIA DISTRETTO DI CACCIA N° 2 LOANESE
CARTOGRAFIA SQUADRA DI CACCIA AL CINGHIALE DI MAGLIOLO SV 80
Il territorio di caccia, ultimamente definito dall’Amministrazione Provinciale e dalla Regione Liguria anche come Zona o Settore di Caccia, assegnato dall’Ambito Territoriale di Caccia alle singole Squadre ma un tempo e per molti anni di libera scelta, è sicuramente uno dei requisiti principali su cui la nostra Squadra di caccia al cinghiale basa le fondazioni ed erige i pilastri e l’intera struttura portante, quindi la vera e propria ossatura della medesima formazione, intesa come un’entità costituita da un gruppo di persone socialmente, culturalmente e territorialmente eterogenee, motivate ovviamente anche da altri importanti valori quali l’amicizia ed il rispetto reciproco, che si sentono sicuramente ed indissolubilmente legate al nostro spettacolare e variegato territorio boschivo.
Un tempo quando non esisteva la pianificazione e la zonizzazione del territorio, infatti, tutte le Squadre costituite ed abilitate dalla Provincia cercavano di accaparrarsi le zone di caccia migliori o perlomeno presunte tali.
Questo sistema di caccia “libero” e sicuramente meno vincolante e meno regolamentato rispetto a quello attuale dava irrimediabilmente origine a continue controversie e liti spesso sfocianti anche in episodi poco edificanti per il mondo venatorio e non solo, con ripercussioni anche personali tra i singoli cacciatori di compagini confinanti e contrapposte.
Era il sistema del “più forte e più prepotente”, o meglio ancora, del “chi prima arriva meglio alloggia!”, anche se in moltissimi casi questa discutibile e soprattutto poco chiara regola non veniva accettata dai vari componenti di una delle due formazioni contendenti, facendo quindi prevalere l’arroganza e la prepotenza dei protagonisti che rivendicavano altre cause e vecchie ragioni, il più delle volte soggettive ed opinabili.
Questo ovviamente accadeva a causa dell’assenza di regole certe ed applicabili che sono arrivate con gli anni di esperienza del mondo venatorio e grazie all’acquisita maturità dell’associazionismo venatorio, della classe dirigente e politica, approdando finalmente ad un regolamento che prevedesse la definitiva zonizzazione territoriale e mettesse fine alle annose ed irrisolvibili questioni sopra citate.
Quando la Provincia decise di regolamentare la caccia al cinghiale tramite la zonizzazione territoriale la nostra Squadra fu sicuramente una delle più convinte ed agguerrite sostenitrici di tale storico innovamento che avrebbe modificato radicalmente il sistema di caccia adottato fin dai primi anni ’70 con la nascita delle primissime squadre di caccia al cinghiale.
In quel tempo ovviamente i cinghiali sul territorio erano relativamente pochi e quindi le squadre che iniziavano a costituirsi e crescere, via via con gli anni, avevano l’evidente necessità di spostarsi da un territorio all’altro, da una valle all’altra, addirittura da una provincia all’altra, alla ricerca degli ungulati che il più delle volte non venivano neppure scovati.
Con il passare degli anni la popolazione di cinghiali è andata indiscutibilmente ad espandersi ed a colonizzare la quasi totalità del territorio boschivo e quindi le amministrazioni provinciali e gli enti preposti hanno dovuto obbligatoriamente metter mano al regolamento di attuazione, in modo tale da rendere tale forma di caccia più consona alle esigenze ed alle richieste provenienti dal territorio, circa la sostenibilità e la gestione della risorsa faunistica, in correlazione agli evidenti danni provocati alle colture agricole.
A distanza di quasi 20 anni dall’introduzione di questo nuovo sistema di caccia al cinghiale continuiamo ad essere decisamente e fermamente convinti che tale innovazione, di non facile applicazione per gli evidenti motivi di conflittualità tra le squadre, è stata una notevole miglioria per il mondo venatorio nel suo complesso e per la gestione della specie selvatica a noi tanto cara.
Ovviamente, come spesso accade a qualsiasi livello in occasione di cambiamenti o innovazioni, si rendono evidenti anche taluni aspetti negativi che comunque, a rigore di logica, non dovrebbero mai essere più rilevanti rispetto a quelli positivi, a discapito del buon esito del risultato finale.
In questo caso gli aspetti positivi sono stati sicuramente di gran lunga superiori a quelli negativi.
Per lo più, questi ultimi sono legati alla mancata accettazione da parte di alcune squadre delle relative zone di caccia assegnate in quanto non è stato da loro condiviso il criterio di suddivisione adottato dagli Ambiti Territoriali di Caccia che, in genere solo nei casi di mancato accordo tra le squadre confinanti, hanno dovuto applicare, a loro insindacabile giudizio, le linee di demarcazione sulla relativa cartografia.
D’altra parte gli aspetti positivi sono stati e continuano ad essere molteplici, a partire dal sistema di caccia vero e proprio per arrivare alla gestione territoriale della specie animale in questione.
Uno degli aspetti che ci ha fatto maturare questo tipo di convinzione deriva proprio dall’approccio alla caccia al cinghiale nei primi anni di attività.
Non possiamo ancora dimenticare le soventi ed animate discussioni, giusto per utilizzare un termine pacato e sommesso, di alcuni cacciatori della nostra Squadra con altri cacciatori della Squadra di Calice Ligure in località Collarina, Boncucco, Lodola, Gaiado, oppure con altri della Squadra di Canova all’epoca diretta da Narciso Valgera (Ciso) in località Luvio, Ciazun, Verna, oppure con altri ancora della Squadra di Giustenice, all’epoca congiunta a quella dei Ribelli, in località Barban, Suia, Arscea, Belonia, Lavicello, Agnellino.
Tutto questo semplicemente per questioni futili ed assurde legate al presunto orario di arrivo nella zona di caccia, peraltro sempre discutibile e soggettivo, oppure al rivendicato ed assurdo diritto di appartenenza della medesima zona sita all’interno dei propri confini comunali.
Questo comportava inevitabilmente che i più “arditi e temerari” postaioli dell’epoca, anche in condizioni meteorologiche poco favorevoli come il freddo, la pioggia ed il vento, dovevano levarsi di buon’ora ed andare a prendere le poste alle prime ore del giorno, a volte persino poco dopo la mezzanotte, per poi magari accorgersi al mattino seguente, alle prime luci dell’alba, di avere un cacciatore dell’altra squadra a poche decine di metri, arrivato in quel posto per lo stesso ed identico motivo di “presunta conquista”.
A quel punto l’avvio della battuta di caccia e l’intera mattinata sarebbero stati sicuramente effervescenti se non addirittura incandescenti.
Anche quando non si verificavano gli spiacevoli episodi c’era sempre qualcuno che rivendicava, a gran voce e spesso prepotentemente, di aver presidiato la zona da qualche altro anfratto nascosto dal bosco e dalle tenebre.
Oggi, avendo sperimentato l’attuale sistema, maturato grazie ad una mentalità sicuramente più moderna, più responsabile e consapevole della caccia al cinghiale in battuta e della relativa gestione del suide, e soprattutto pensando alle fasi preliminari della giornata di caccia dove ci si può ritrovare tutti insieme, al coperto ed al caldo, per fare colazione e degustare un buon caffè, per raccontarci le nostre variegate storie, spesso colorite e farcite con frottole o bugie (in dialetto “musse”) più o meno credibili, e discutere in merito alle strategie di caccia da adottare in battuta, sembra incredibile rivivere quei ricordi passati non riuscendo a capacitarci di come potesse avvenire, pressoché quotidianamente, quanto appena narrato e vissuto da tanti nostri predecessori cinghialisti.
Proprio gli stessi personaggi che erano soliti improvvisare polemiche e liti furibonde per futili motivi con altri cacciatori antagonisti e che magari, con il passare degli anni, l’imprevedibile ed incontrastabile Destino ha voluto che si ritrovassero insieme a condividere le stesse battute di caccia e la relativa attività extra venatoria nella medesima squadra, un tempo criticata, spesso derisa, per non dire venatoriamente “odiata”.
Spesso e volentieri si verificavano litigi ed animate discussioni anche per la proprietà della preda abbattuta, cacciata da una muta di cani appartenente ad una squadra e poi uccisa da un cacciatore di un’altra formazione.
Discussioni interminabili che spesso sfociavano in una marea di insulti e provocazioni che negli anni hanno determinato inutili tensioni tra le varie squadre confinanti.
Come ci si può dimenticare dei tantissimi episodi in cui veniva negata, più o meno evidentemente, la parte del cinghiale inseguito dai segugi di un’altra squadra?
Come ci si può dimenticare dell’attesa speranza di vendetta o meglio della speranza di poter rendere lo stesso trattamento ricevuto alla squadra che aveva negato la divisione della preda per poi fare il ridicolo ed inutile bilancio “dei persi e dei recuperati” a fine stagione?
Come ci si può dimenticare delle innumerevoli figuracce di cui si sono resi protagonisti tanti cacciatori che negavano la verità di fronte alle richieste dei legittimi pretendenti sino a far intervenire, in alcuni casi, persino le forze dell’ordine?
Verità nascoste per pochi chilogrammi di carne o per questioni di principio?
Il più delle volte per una semplice questione di ignoranza allo stato puro addizionata ad una buona dose di arroganza e di prepotenza!
Fortunatamente nella nostra Squadra questo caso estremo di adire all’intervento delle forze dell’ordine non si è mai verificato anche se non sono mancati i momenti di tensione con le varie squadre confinanti che si sono risolti, il più delle volte, facendo prevalere il buon senso e lasciando agli altri il bottino di caccia rivendicato con la prepotenza e l’arroganza.
Finalmente con l’avvento della zonizzazione e dei relativi regolamenti provinciali anche questi episodi poco edificanti ed eticamente poco corretti non si sono più verificati in quanto il cinghiale inseguito dai segugi, una volta oltrepassato il confine della propria zona, diventa di esclusiva competenza dell’altra formazione.
Infatti, come finalmente sancito dal regolamento provinciale, lo sconfinamento dalla zona di caccia assegnata spetta ai soli conduttori ed ai collaboratori per l’esclusivo recupero degli ausiliari.
A rigor del vero, anche ultimamente, la nostra Squadra ha sempre proposto ai proprietari ed ai conduttori dei cani arrivati sul cinghiale abbattuto da uno dei nostri cacciatori la possibilità di dividere la preda, come avveniva un tempo, in segno di rispetto e riconoscenza nei confronti degli ausiliari e dell’intera squadra.
Anche questo atteggiamento vuole essere un bel segnale di apertura, di distensione e di collaborazione nei confronti delle squadre confinanti che saltuariamente negli ultimi anni hanno spinto con i loro segugi alcuni cinghiali nella nostra zona di competenza permettendoci di conseguire l’abbattimento.
Questa buona regola ha permesso inoltre di recuperare i segugi andati fuori zona in tempi più brevi ed il più delle volte anche grazie proprio all’intervento dei cacciatori delle altre formazioni che hanno tutto l’interesse di contattare i relativi proprietari e canai.
Un altro aspetto decisamente positivo rispetto al vecchio sistema è sicuramente quello gestionale in cui il cacciatore, o meglio la squadra di cacciatori è legata indissolubilmente al proprio territorio in modo che lo stesso possa essere gestito correttamente sia dal punto di vista faunistico che ambientale, rispettando la specie animale in questione e nel contempo tutelando le colture agricole e le attività economiche presenti nella zona.
Questo permette, per esempio, alla singola squadra di effettuare interventi di controllo fuori dal periodo di caccia in caso di notevole presenza di animali sul territorio in gestione, oppure se il caso, di auto sospendersi l’attività venatoria in caso di scarsità di animali o di determinate situazioni ambientali sfavorevoli.
Anche questo importante sistema gestionale una volta non era neppure lontanamente ipotizzabile in quanto le squadre limitrofe o di altre località avrebbero sicuramente cacciato, più o meno volontariamente, nella zona lasciata volutamente a riposo per i motivi sopra esposti.
Fatta questa importantissima e doverosa premessa, le zone di caccia sono quindi il vero e proprio teatro delle emozionanti ed indimenticabili battute in braccata condotte dalla Squadra che in questi decenni ha cacciato dall’Arscea di Balestrino (attualmente ricompresa nel Distretto di Caccia n° 3 Val Neva), passando da Collarina, Boncucco, Gaiado, Lodola, Castellin, dalla Caprazzoppa, a Bottassano (attualmente facenti parte del Distretto di Caccia n° 1 Finalese) ed al Montegrosso e Croso, alla zona di Ranzi di Pietra Ligure, del Bric Cinque Alberi e del Monte Pianosa, approdando alla Belonia, alla Tampa, al Monte Spinoso chiudendo Campo Martin, alla Previa, al Lavicello ed all’Agnellino chiudendo il crinale dalla Baracca dei Quarti alla Bassa dell’Agnellino, sino a cacciare stabilmente in tutta la Val Maremola nei Comuni di Magliolo, Tovo San Giacomo e Giustenice ed in parte anche nella Val Scarincio totalmente ricompresa nel Comune di Giustenice, nell’attuale settore di caccia assegnatoci a seguito dell’importante e lunghissimo processo di zonizzazione territoriale voluto dalla Provincia di Savona ed entrato in vigore a partire dalla stagione venatoria 1997/98.
Il nostro attuale Settore di Caccia fa parte dell’Ambito Territoriale di Caccia SV 2 – Zona di Ponente ed è inserito dal 2003 nella cartografia provinciale dei Distretti di Caccia al Cinghiale nel Distretto n° 2 “Loanese” comprendente, oltre alla nostra SV 80, le Squadre SV 93 (di Giustenice) e SV 127 (“Camperi” di Verzi di Loano).
Nel corso dell’ultimo impegnativo e complesso processo di rimodulazione territoriale stabilita dalla Provincia di Savona ed applicata con la stagione venatoria 2014/2015 a seguito dell’entrata in vigore del 3° Piano Faunistico Venatorio Provinciale nel mese di marzo 2014, la Squadra SV 92 (“Ribelli” – Tovo San Giacomo) è uscita dal nostro Distretto di Caccia “Loanese” confluendo nel Distretto n° 1 “Finalese” per accorparsi con la Squadra SV 75 (Valgera di Canova).
Dal punto di vista ambientale la zona in cui cacciamo appare come un territorio molto variegato e con una notevole biodiversità, sia faunistica che floreale, che riserva tuttora ancora ampie zone ed aree di natura incontaminata e selvaggia soprattutto a ridosso dello spartiacque tra il versante Padano e quello Tirrenico nella parte più alta ed impervia posta a nord e nord-ovest, già oggetto in passato, intorno agli anni ’80, del progetto costitutivo del “Parco Naturale Regionale del Melogno” che avrebbe completamente inibito l’attività venatoria in una vasta e stupenda area di oltre 2.000 ettari.
Come spesso accade i progetti elaborati dalle Pubbliche Amministrazioni rimangono fermi nei cassetti dei vari uffici per moltissimi anni sino a quando, magari a causa di un atto legislativo oppure di un evento di natura politica, vengono rispolverati e come per magia vengono resi nuovamente attuali e riproponibili.
Mi riferisco proprio a quel progetto di “parco abbandonato” per forza maggiore dalla Regione negli anni ’80 e divenuto attuale, anche se per fini leggermente diversi, nel 2006 quando lo stesso Ente dovendo recepire la Direttiva Comunitaria a tutela delle biodiversità, conosciuta in Italia come “Rete Natura 2000 – SIC e ZPS” ha istituito la più vasta area della Provincia di Savona come Sito di Interesse Comunitario denominato “S.I.C. Monte Carmo – Monte Settepani” comprendente gran parte dei territori boscati a partire da Loano sino al Lago di Osiglia passando per i comuni di Giustenice, Magliolo, Bardineto, Calizzano e Murialdo.
Questa nuova perimetrazione cartografica, dapprima non resa di pubblico dominio e presente solo sulle Cartine Tecniche Regionali ma comunque vigente dal 2006, nonostante le rassicurazioni degli uffici regionali coinvolti nel progetto “Rete Natura 2000” ha iniziato ad avere i suoi effetti e le impreviste ripercussioni a livello venatorio dalla stagione 2011/2012 per il problema della V.A.S., ovvero la Valutazione Ambientale Strategica, obbligando quindi la Provincia di Savona a porre dei limiti all’attività venatoria sul cinghiale e sugli altri ungulati in tutte le aree interessate dalle Z.P.S. e dai S.I.C. tra cui appunto la nostra, circa il numero massimo degli ausiliari da impiegare nelle battute in braccata, l’uso degli autoveicoli a motore in determinate strade non carrozzabili ed il numero massimo dei cacciatori partecipanti alle battute.
In questo panorama prettamente ed assurdamente “ambientalista ed animalista” sempre più variegato ed esigente il mondo venatorio cerca di ritagliarsi ancora, e non so per quanto tempo riesca ancora a farlo, la sua giusta collocazione anche se è evidente che per una lunga serie di motivi, anno dopo anno, diventa sempre più difficile sopravvivere e farsi rispettare in questa società fortemente antropizzata e solo apparentemente acculturata, ma nel contempo fortemente incapace di cogliere e di conoscere le vere esigenze ambientali e culturali delle civiltà agricole dimoranti nell’entroterra e comunque nell’ambiente rurale e silvo-pastorale presente nel nostro Entroterra ormai solamente a “macchia di leopardo”.
Dal punto di vista vegetazionale e floreale il nostro territorio presenta una varietà straordinaria di essenze che variano al mutare della fascia microclimatica, della latitudine e dell’altimetria. Infatti la nostra zona di caccia, a sud, parte da pochi metri sul livello del mare in località Corte nel Comune di Pietra Ligure ed arriva, a nord, nelle località Tortagna, Merizzo, Badò, Valencia, Balzi Rossi, Agnellino nel Comune di Magliolo sino ad oltre 1.300 metri di altitudine, a confine con il comprensorio Valbormidese, habitat già a suo tempo ricompreso nella Zona Faunistica delle Alpi della Provincia di Savona sino all’istituzione degli Ambiti di Caccia con la Legge Regionale n° 29/94, attraversando l’Alta Via dei Monti Liguri, uno dei percorsi naturalistici più belli, affascinanti e suggestivi della nostra Regione.
Nella fascia altimetrica più bassa troviamo pertanto la folta macchia mediterranea, talvolta anche impenetrabile, composta principalmente da arbusti di erica “le nostre ubiquitarie brue”, di corbezzolo “gli ermin”, di mirto selvatico “le murtine”, di rovi “ruei”, di prugni selvatici “brigne servaie”, di “spine da furnu”, di “razacu”, oltre che da altre decine di essenze vegetali arbustive sino ai 500-700 metri s.l.m.
Tale fascia coperta dalle essenze floreali sopra citate ed altamente infiammabili, soprattutto nei periodi di grande siccità e calura, risulta essere, purtroppo, l’area più vocata per gli incendi boschivi che già in passato sono stati oggetto di grande devastazione e scempio ambientale.
Ovviamente sono presenti anche piante d’alto fusto come il pino silvestre (molto diffuso anche se martoriato dai devastanti incendi dei decenni scorsi, soprattutto quelli divampati dolosamente sino alla metà degli anni ‘80), il pino marittimo (pochi esemplari) il leccio (zona Corte, Rio Panneto-Picchi ed Arscea), il castagno (presenza limitata), il rovere (molto diffuso), e la quercia da sughero detta “natta” (zona Scioea-Sarsceu).
Salendo di quota, il sottobosco va a diradarsi per lasciare il posto al bosco ceduo di castagno presente diffusamente in tutta la fascia dai 400 agli 800 metri, di rovere, di quercia, di betulla, di carpino, di frassino, di nocciola, di pino silvestre, di pino nero d’Austria presente esclusivamente lungo il crinale dalla zona di Pian dei Buoi sino al Porrino lungo il crinale del Gettina, sulla costiera di confine con il Comune di Rialto.
A partire dagli 800 metri s.l.m. oltre alle essenze sopra menzionate si possono trovare i primi faggi, sempre più numerosi man mano che si sale in quota, sino ad arrivare al crinale, per poi congiungersi con la spettacolare faggeta della Foresta Demaniale Regionale della Barbottina, una delle più grandi, rigogliose e belle dell’intera Liguria.
Nella stupenda cornice naturale dei Balzi Rossi, divenuta da oltre una decina d’anni anche famosa e frequentata meta degli appassionati scalatori della “Ferrata degli Artisti”, oltre allo spettacolare e suggestivo panorama mozzafiato offerto dalla natura circostante e caratterizzata dalle particolari falesie e rocce di colore rosa con parecchie sfumature più o meno cariche che arrivano sino al violetto, oltre alla flora tipica mediterranea, si possono ammirare addirittura alcune piante di rododendro, essenza floreale tipicamente alpina, particolarmente bella ed affascinante nel periodo della fioritura.
Dal punto di vista faunistico il nostro territorio offre un’ampia gamma di animali e di mammiferi di cui però solo alcuni sono anche di notevole pregio venatorio.
Nei nostri boschi possiamo incontrare, oltre a “Sua Maestà” il Cinghiale, altri mammiferi cacciabili come la Volpe che, comunque, negli ultimi decenni ha visto un notevole decremento a causa dell’evidente patologia della rogna sarcoptica, malattia epidermica che dapprima colpisce il manto del selvatico e successivamente le difese immunitarie dello stesso sino a portarlo alla morte.
Nel nostro territorio è sempre più raro ed inconsueto incontrare la pregiatissima Lepre Comune che, se non fosse per l’assidua e tenace attività di un ristretto gruppo di encomiabili ed appassionati “lepraioli”, sarebbe una specie autoctona già estinta da diversi anni a causa del mutamento dell’intero habitat divenuto decisamente sfavorevole alle esigenze nutrizionali e soprattutto poco protettivo per il selvatico stesso a causa della moltitudine di predatori naturali quali la volpe, i cani inselvatichiti e lasciati allo stato brado, il cinghiale, i rapaci notturni e diurni ed i vari corvidi di ogni specie e sottospecie presenti a qualsiasi latitudine ed altitudine, rappresentando una vera e propria insanabile piaga per l’indifeso leporide che si trova sicuramente in un’evidente situazione di rischio di estinzione, per ora ovviamente e fortunatamente solo a livello locale.
Sicuramente meritano particolare menzione altri mammiferi che l’attuale legislazione venatoria, sia nazionale che regionale, colloca in una fascia di rigoroso rispetto, ovvero possono essere considerati oggetto di caccia o meglio di prelievo venatorio esclusivamente nella forma selettiva in particolari e determinate aree preventivamente costituite e gestite dette “Unità di Gestione”.
Tra questi troviamo per rilevanza numerica il più piccolo dei cervidi europei, ovvero il Capriolo, un ungulato poligastrico autoctono presente stabilmente nell’interna zona di caccia da oltre un ventennio, quantomeno dall’autunno del 1993 quando ne furono osservati i primi due esemplari dall’autore di questo volume in località Berina – Basu du Beccu nel Comune di Magliolo e da quella data con avvistamenti via via sempre più numerosi, per la felicità dei nostri segugi e soprattutto per la disperazione dei nostri “Canai”.
Un altro affascinante erbivoro, definito brucatore, che negli ultimi anni ha avuto una notevole espansione demografica colonizzando appunto nuovi areali di nostra competenza venatoria è il Daino, un ungulato poligastrico alloctono, anch’esso presente stanzialmente in una parte più ristretta del nostro territorio oramai dall’autunno del 2009 quando furono avvistati da diversi cacciatori della nostra Squadra tre esemplari in località Costa di Vio-Rocca Sierai-Cascina Sierai (Cascina Micuna) nel Comune di Giustenice.
Anche questo nobile cervide nel corso degli ultimi anni ha colonizzato la nostra zona di caccia in maniera costante e quindi oramai lo possiamo incontrare in tutte le sub-zone, dal livello del mare sino all’Alta Via dei Monti Liguri.
Inoltre, possiamo sporadicamente osservare, quasi incredibilmente, anche il Camoscio, affascinante e caratteristico ungulato e bovide alpino che vive prettamente nella fascia territoriale impervia e rocciosa oltre gli 800-900 metri di altitudine a confine con lo spartiacque dell’Alta Val Bormida.
La piccola colonia di Camosci alpini è probabilmente presente sin dai primi anni 2000, come riscontrato da alcuni rinvenimenti di ossa del cranio e di corna nella zona dell’Alta Via dei Molti Liguri e del Bric Agnellino dal lepraiolo Clementino Fiorino, ma in effetti nella nostra zona è stata notata ed osservata, per la prima volta, dal nostro “impavido avventuriero” postaiolo Angelo Fiorini solo nell’inverno del 2010 in loc. Ravin-Passo di Mezzo.
In questi ultimi anni, dopo decenni e forse secoli di completa assenza, ha nuovamente fatto la sua comparsa più o meno stabilmente nei nostri boschi un altro prestigioso e leggendario animale: il Lupo.
Questo imprevedibile ed affascinante carnivoro, in effetti, era già stato oggetto di uno studio e di un progetto di gestione negli anni ’90 da parte della Regione Liguria in attuazione al “Progetto Lupo” fortemente voluto dall’Assessorato Regionale all’Ambiente di quel periodo.
Infatti, alcuni capi muniti di radiocollare avevano evidenziato la loro permanenza per un determinato periodo nella zona ubicata sopra l’abitato di Isallo-Cormore, in località Stecca, Balzi Rossi e Bric Agnellino.
Quindi, dopo un paio d’anni dai primi e ripetuti avvistamenti del 2012 nell’alta Val Bormida, soprattutto nelle zone di Bardineto (2012), Calizzano, Massimino, Murialdo, Millesimo, Roccavignale e Cengio (2013), nell’alta Val Varatella nelle zone di Balestrino, Carpe e San Pietro dei Monti (2012) e nell’alta Val Neva in località Erli e Castelvecchio di Rocca Barbena (2013) abbiamo potuto constatare la veridicità della preoccupante presenza del Canis Lupus anche nella nostra zona di caccia.
Era la mattina di sabato 8 novembre 2014, apparentemente una normalissima mattinata d’autunno inoltrato con un clima ancora piuttosto mite nonostante gli oltre 1000 di altitudine sul livello del mare, quando due nostri cari compagni di caccia, i fratelli Clementino e Pino Fiorino trovandosi in località Merizzo, impegnati nelle ultime battute stagionali di caccia alla lepre insieme ai fratelli Adriano e Gino Vignone, erano ancora accomodati in macchina in attesa che le luci dell’alba facessero la loro comparsa in modo da poter sciogliere i cani sulle orme della lepre.
Ad un tratto Clementino scorge un’ombra furtiva in movimento davanti al proprio Defender parcheggiato lungo la strada sterrata che dalla località Morti conduce sul Bric Merizzo per poi collegarsi all’Alta Via dei Monti Liguri in loc. Badò.
Istintivamente e prontamente Clementino aziona il motore ed i fari del fuoristrada per poter scorgere e rendersi conto di cosa potesse essere quell’ombra appena intravista a pochi metri di distanza dal parabrezza della vettura ed ecco la clamorosa, inattesa ed insolita scoperta: videro davanti a loro, lungo la strada in salita, due stupendi esemplari di Lupo, che procedevano speditamente in linea retta senza tentennamenti e titubanza, apparentemente della stessa grandezza e del medesimo manto color grigiastro che presentavano sul dorso e sulle zampe una sfumatura longitudinale più scura tendente al nero.
Data la loro mole, il loro portamento e la loro camminata furtiva da vero selvatico sarebbe stato impossibile non distinguerli tra mille altri Canidi.
Clementino direzionò la macchina lungo la salita per poter continuare a seguirli ed osservarli ma i due nobili selvatici, dopo alcune decine di metri, abbandonarono la strada sterrata per dileguarsi con la loro elegante camminata nel folto del bosco a valle del crinale in direzione del Pian della Fossa (Cian da Fossa) e di Gaiardo (delle Gaiarde).
Al di là dell’estrema bellezza e dell’elegante fascino di questo animale non nascondiamo che questo tipo di avvistamento, oramai piuttosto frequente anche nelle nostre vallate dell’entroterra, ovviamente dal punto di vista prettamente venatorio, ci lascia un po’ timorosi, preoccupati e perplessi in quanto il carnivoro europeo per eccellenza dalla notte dei tempi, potrebbe mettere a repentaglio la vita dei selvatici oggetto della nostra passione venatoria andando a cambiare le loro abitudini vitali, cinghiale in primis.
Ovviamente a serio rischio non sarebbero solo gli esemplari di capriolo e daino ma anche i capi sub-adulti ed i piccoli di cinghiale che con i loro attacchi congiunti sarebbero facilmente accerchiabili e quindi attaccabili.
Aspetto ancor più preoccupante è dato dai possibili attacchi di questi elusivi carnivori selvatici nei confronti dei nostri cari ausiliari impiegati nell’attività venatoria.
Inoltre tale selvatico potrebbe causare seri pericoli e danni economici non indifferenti anche alle specie animali domestiche orami sempre più oggetto di sporadico e marginale allevamento soprattutto nelle zone montane.
Tutto questo ovviamente ci rende consapevolmente orgogliosi di avere e di dover gestire nel migliore dei modi un territorio di straordinaria bellezza, rilevanza ed importanza ambientale, spesso intricato ed impervio, ma nel contempo incontaminato e suggestivo in cui non manca certamente l’importante e, soprattutto di questi tempi, tanto ricercata e conclamata “biodiversità”, ovvero la linfa ed il valore aggiunto dell’intero patrimonio ambientale che ci circonda!